Una volta, ci fu un' epoca in cui il cibo finì. Prima di conoscere il mais, la gente mangiava un'erba molto saporita, ma molto scarsa. All'improvviso, smise di piovere. All'inizio, nessuno se rese conto, perché esistevano ancora arbusti di quel l'erba chiamata Uk’ u’x wa. Beh, in realtà non si mangiava l'arbusto, bensì le radici di quel l'arbusto.
Ma d'un tratto, siccome non pioveva, non la si trovò più. Le nonne e i nonni penetravano nel bosco, si addentravano nella foresta, si perdevano sulla montagna, ma non trovavano nulla. Tornavano sconsolati dicendo: “Il cibo è finito! Non ci sono più radici da mangiare!”. E allora la fame tormentava lo stomaco come una manciata di spine. “Il cibo è finito”, dicevano le nonne. “Che facciamo?” dicevano i nonni.
Lo sconforto s'impadronì dell'anima degli esseri umani. I bambini cominciarono a piangere, chiedendo da mangiare. “Non ce n'è”, gli dicevano i genitori. I genitori cominciarono a piangere, perché non potevano dare da mangiare ai loro figli. “Non ce n'è”, dicevano le nonne. Le nonne e i nonni scoppiarono in lacrime, perché li intristiva molto veder piangere i loro figli e i loro nipoti.
Passava di là una donnola, che, vedendo piangere la gente, si commosse e ne ebbe compassione. “Che cosa vi succede? Perché invece di ballare e far festa, avete quell'aria cupa e i volti coperti di lacrime? Qual è la pena che vi affligge?” “Ah, signora donnola”, disse una nonna, “se lei sapesse!” “Ah, signora donnola”, disse un nonno, “se lei sapesse!”.
La donnola li guardò, un po’ perplessa e si avvicinò a una coppia di giovani, anch'essi in lacrime. “Ho incontrato una nonna e un nonno che stavano piangendo”, gli disse, “e adesso vedo piangere anche voi. Che cosa sta succedendo in questo paese?”. “Ah, signora donnola”, disse la donna, “se lei sapesse!”. “Ah, signora donnola”, disse l'uomo, “se lei sapesse!”.
Ancora più perplessa, la donnola si avvicinò a due bambini piccoli che piangevano. “Bambini”, gli domandò la donnola perplessa, “ho incontrato la nonna e il nonno, la mamma e il papà, e stavano piangendo. Adesso trovo voi, e anche voi state piangendo. Si può sapere che cosa vi succede?”. “Abbiamo fame! Il cibo è finito!” singhiozzarono i bambini. La donnola si commosse così tanto che fu sul punto di mettersi a piangere anche lei.
Si commosse così tanto che decise di aiutarli a risolvere il problema. Riunì le nonne, le madri, i nonni, i padri, le bambine e i bambini. “Conosco un luogo in cui, sotto una pietra, troverete tutto il cibo di cui avere bisogno...” disse, mostrando denti e gengive in un sorriso felice. “Dove, dove, dove?” le domandavano agitati e angosciati. “E su una collina di nome Chajuyub’, ma non dovete andare a mani vuote. Dovete fare un lungo pellegrinaggio, portare molti fiori, e accompagnare la processione con zufoli e tamburi, e inoltre dovere fare grandi cerimonie, e dovere anche bruciare resina di pino...”. “Sì, lo faremo”, promisero solennemente le nonne e i nonni. “E una volta fatto tutto questo, allora troverete una pietra chiamata Pek...”. La donnola fece un silenzio teatrale. “Sotto quella pietra c'è del cibo chiamato mais, che abbonda più di tutti gli altri cibi...”.
La gente non poteva credere a quello che diceva la donnola. Era troppo bello! “Non può essere...” protestarono, “ci stai mentendo...”. “Vi do la mia parola d'onore di donnola”, affermò lei tutta seria “In quel luogo, sotto la pietra Pek, troverete il mais”. Le gente del paese era ancora incredula. E se non era vero? Allora la donnola disse “Molto bene, verrò con voi per mostrarvi il luogo esatto dove si trova nascosto il mais.”
La gente del paese organizzò una grande processione con tutte le varietà di fiori, i gerani rossi, le buganvillee color fuoco, le delicate orchidee, i garofani appassionati, le rose profumate; erano così tanti tutti quei fiori, simili a formiche che in fila portano le loro provviste, che non si vedeva la gente, ma sembrava che a muoversi fosse una grande processione di fiori. Portavano inoltre le resine di pino accese, suonavano i tamburi e gli zufoli emettevano nell’aria un suono acuto che fluttuava in mezzo all’aroma dei fiori. Era davvero un bello spettacolo la processione della gente del paese che andava dietro alla donnola.
Cammina che ti cammina, arrivarono a una radura nel bosco. Là organizzarono cerimonie, bruciarono l’incenso e suonarono musica sacra. “E’ qui”, gli aveva detto la donnola. “Adesso fate sì che i vostri fiori profumino, che le resine si accendano e che gli zufoli suonino accompagnati dai tamburi”. La gente obbedì e si mise ad aspettare. Aspettò, aspettò e aspettò ancora.
All’improvviso, si udirono i ruggiti della scimmia saraguate, che annuncia sempre la pioggia. Iniziò quindi a piovere, prima con goccioloni grandi come monete d’acqua gettate dal cielo che si schiantarono contro il terreno sollevando polvere. Poi le gocce si andarono addensando, fino a formare una cortina di pioggia agitata da un vento impetuoso, RRRRRRRRRUM! Scorreva una cortina. RRRRRRRRRRUUUUUUUUM! Se ne apriva un’altra. La pioggia cadeva dal cielo a catinelle, incontenibile. I bambini rimasero sotto l’acqua, a correre e a saltare nelle pozzanghere, ridendo come matti perché si schizzavano a vicenda.
In seguito, cominciarono i fulmini e i tuoni. I bambini andarono sparati a rifugiarsi dai loro genitori. Una luce istantanea dipingeva di bianco gli alberi, le foglie, i volti della gente e, subito dopo, BROOOOOOM! Un gran tuono rimbombava all'orizzonte.
All'improvviso, un fulmine cadde sulla pietra Pek e la spaccò in due. BROOOOOOM! Fece il tuono, che si diresse poi dietro alle montagne. La pietra si era aperta, e un filo di fumo color cenere si sollevava da quel luogo.
Quando smise di piovere, la gente del paese corse a vedere che cosa c'era sotto le pietre. Erano quintali e quintali di chicchi di mais. C'era cibo per tutti! Il mais che era stato bruciato dal fulmine era completamente nero. Il mais lontano invece era ancora bianco. Quello che si trovava in mezzo era di colore rosso e giallo. Per questo esistono quattro varietà di mais. Allora la gente del paese disse: “Dobbiamo portare il mais alle nostre case, ma prima dobbiamo separare i semi, per seminarlo e raccoglierlo ogni anno”.
Fu così che gli uomini conobbero il mais. Seminarono il mais nero e venne fuori nero. Seminarono il mais giallo e venne fuori giallo. Seminarono il mais rosso e venne fuori rosso. Seminarono il mais bianco e venne fuori bianco. Le piantine di mais, invece, erano tutte uguali: lunghe canne con grandi foglie verdi addormentate di lato. E da allora furono il cibo dell'umanità.
Quando la gente del paese ebbe placato la fame, decise di festeggiare la donnola. “Signora donnola!” la chiamarono. “E’ stata davvero di parola, e quindi le faremo una gran festa.” La donnola sbatté le palpebre varie volte, come per dire: “Avete visto che avevo ragione”.
La gente del paese decise di darle le migliori galline, i migliori galli e i migliori tacchini che ognuno aveva in casa. E così fu: molti uscirono dalle loro casa con le galline, che erano già ingrassate mangiando mais, e altri con galli grassi per aver becchettato il nuovo cibo, e altri ancora con i signori tacchini dalla cresta rossa, da offrire alla donnola.
Siccome però i taccagni non mancano mai, ci fu chi nascose le proprie galline e i propri galli, e al loro posto portò alla donnola dei pulcini piccolissimi. La donnola si accorse della loro meschinità e decise di dar loro una lezione. Perché bisogna sempre saper essere grati quando si riceve un favore. Quella stessa notte, quando ormai tutti dormivano, la donnola ritornò al paese ed entrò nei pollai dei taccagni che non avevano voluto regalarle un bel gallo o una bella gallina o un del tacchino. Furtivamente se li portò via, e il giorno dopo gli ingrati si ritrovarono senza polli, senza galli e senza galline. Così facendo, la donnola fece capire agli esseri umani che non bisogna essere taccagni e che si deve sempre essere riconoscenti.